I riti mestruali del passato
pubblicato sul blog GruppoMacro giugno 2015
Un tuffo nelle antiche culture tribali di tutto il mondo e nei curiosi rituali legati al menarca (femminili e maschili!)
Abbiamo tutti sentito di strane credenze o scaramanzie legate ai giorni delle mestruazioni: guai a fare la maionese perché irrancidisce, vietato dare l’acqua alle piante perché potrebbero avvelenarsi, meglio evitare la tinta ai capelli che rischiano di diventare verdi!
Le nonne ci mettevano in guardia, gli uomini ci canzonavano, le femministe indignate si ribellavano ad ogni singola parola- oggi non ci crede quasi più nessuno, ma nel profondo dell’ immaginario collettivo qualche cosa resta. Da dove hanno origine questi miti? Quali storie nascondono? Facciamo un tuffo nel passato e nei rituali mestruali adottati da varie popolazioni di tutto il mondo, non solo per curiosità ma soprattutto per capire e recuperare quel senso di “magico e sacro” che non vogliamo dimenticare.
In quasi ogni rituale legato al menarca riappare un elemento costante: la separazione della donna dal gruppo. Oggi crediamo che le donne venissero allontanate perché ritenute impure o pericolose (cosa che in effetti è successa in un secondo momento e che in alcuni luoghi persiste ancora oggi), ma inizialmente faceva parte del rituale di iniziazione di ogni fanciulla alla sua fertilità, ed era un chiaro ed inequivocabile segno di acquisizione di potere.
Che si trattasse di una grotta, una capanna costruita appositamente, una tenda, una buca nel terreno o nella sabbia, la fanciulla veniva portata dalle altre donne più anziane – mamme, sorelle maggiori, zie e nonne – a vivere la sua prima esperienza con il sangue in un luogo sicuro e silenzioso, lontano dalle attività quotidiane e lontanissimo dalla presenza maschile. Proprio perché entrava in reclusione bambina e ne usciva donna fertile, trasformata, completamente diversa, ora in grado di procreare. Quando riemergeva dall’isolamento veniva riconosciuta come donna da tutta la sua famiglia e tutta la sua gente, e guardata dai giovani uomini per la prima volta come possibile futura madre dei loro figli.
Tra i Loango le ragazze erano rinchiuse in capanne separate con il divieto di toccare terra; in Nuova Irlanda restavano in piccole gabbie anche quattro o cinque anni; al confine tra Brasile e Paraguay venivano cucite all’interno di un’amaca per un paio di giorni, durante il quale osservavano il digiuno. In Nuova Guinea, al termine di un isolamento di cinque giorni la ragazza veniva portata sulla schiena da sua nonna mentre scendeva le scale di casa. Nell’isola di Mabuiag (Torres Strait) la ragazza veniva nascosta tra i cespugli e protetta da una o due zie materne di guardia, in modo che nessuno le si avvicinasse. Tra gli Zulu del Sud Africa, se una ragazza cominciava a sanguinare lontana da casa, doveva evitare la via principale per il ritorno, per non incontrare nessuno.
Se queste erano le sorti delle ragazze, di certo gli uomini non erano da meno! Ammirati, incuriositi e un po’ spaventati da tanta inspiegabile e incontrollabile potenza procreatrice, i ragazzi in pubertà venivano sottoposti a rituali iniziatici per sancire il loro ingresso nel mondo degli uomini adulti. Celebravano le loro “mestruazioni parallele” per dirla con le parole dell’antropologa Judy Grahn, inducendo il loro corpo a sanguinare in modi spesso drastici e in qualche caso anche pericolosi.
Si passava dal rompere uno o più denti creando così una bocca sanguinante (metafora della vagina) come ad esempio tra le popolazioni Maasai, a varie incisioni intorno alla bocca o sulle guance, fino alla più invasiva sub incisione: un’operazione praticata sul pene incidendolo verticalmente, che lasciava una ferita che veniva riaperta periodicamente e lasciata sanguinare. Alcuni giovani delle tribù lungo il rio delle Amazzoni si ritrovano al fiume dove lo sciamano praticava loro, utilizzando un fondo di bottiglia o un dente di pesce affilato, dei lunghi tagli lungo la parte posteriore delle cosce. Alcune popolazioni native della California preparavano dei rituali di quattro o cinque giorni in cui i fanciulli venivano fatti sanguinare dall’ombelico e poi lavati con acqua ghiacciata.
Spesso, una volta abbandonate queste usanze, è rimasta in moltissime parti del mondo la tradizione di dipingere il corpo con della terra o dell’ocra rossa, in modo da simboleggiare lo scorrere del sangue senza però sanguinare o soffrire veramente.
Forse da una prospettiva moderna fatichiamo a capire le ragioni di tanta enfasi sul menarca, ma risultano ovvie quando ricordiamo che rappresenta la possibilità della Vita, che un tempo veniva onorata e riverita con solennità e timore. Ripristinare il senso di del sacro, con l’umiltà e la devozione che lo accompagna, rappresenta senza dubbio un immenso beneficio per tutti noi oggi, uomini e donne senza distinzione.