La bellezza dell'imperfezione
In Giappone si chiama wabi-sabi: la bellezze delle cose imperfette, impermanenti ed incomplete. Una bellezza di cose umili e modeste. La bellezze delle cose non convenzionali.
E’ una filosofia rivoluzionaria a pensarci bene, abituati come siamo ad associare il bello alle cose perfette o alle situazioni idilliache. Non è solo l’occhio che ricerca la perfezione estetica, prima ancora è la mente che è addestrata a considerare bello, o buono, quello che corrisponde in maniera pressoché perfetta all’immagine che si era costruita; quest’immagine mentale è condizionata sicuramente dalla società in cui si è cresciuti e si vive, dai canoni appresi in famiglia, e soprattutto dalle aspettative che per natura o per cultura abbiamo registrato in modo più o meno consapevole. La mente fatica ad essere felice, si concentra su quello che manca più che su quello che c’è, ingigantisce la pecca sminuendo quindi il valore del resto, si focalizza sull’errore perdendo di vista l’insieme, condanna ogni più piccolo segno di imperfezione. La mente immagina un risultato ideale e resta puntualmente delusa dalla realtà, che si tratti di un corpo fisico, di un’altra persona, di un risultato da raggiungere, di un mestiere o perfino di un comportamento, proprio o altrui.
La mente, mente.
Nella nostra società rifuggiamo il brutto, evitiamo il difficile, temiamo ciò che è doloroso e riteniamo che se qualcosa non è impeccabile allora sia imperdonabile; in questo modo, spesso senza rendercene conto, condanniamo noi stessi (e gli altri) ad uno sforzo continuo per raggiungere la perfezione e a giudicarci severamente se e quando non ci riusciamo. Vorremmo essere persone perfette, con corpi perfetti, famiglie e figli perfetti, carriere perfette in modo da vivere perfettamente felici. Diamo sui social un’immagine perfezionata di chi siamo e crediamo, anche se non del tutto, alla perfezione apparente delle vite altrui. Come sappiamo, si rivela una bugia con le gambe corte e una missione impossibile che ci lascia frustrati, depressi, e molto molto arrabbiati con noi stessi per quello che brucia come un fallimento.
La vita può essere buona, grande, imprevedibile e sorprendente, ma non è mai perfetta. E in questa imperfezione sta la sua bellezza. “There is a crack in everything” canta Leonard Cohen “that’s how the light gets in”. In tutto c’è una crepa, è che così che può filtrare la luce.
L’imperfezione è quella maglia allentata nella trama che permette di guardare oltre e vedere altro, quel momento di vulnerabilità nella corazza della personalità che lascia spazio per un sorriso, una parola gentile, un abbraccio. E’ quello che ti coglie di sorpresa e per un attimo mette in dubbio le certezze; a volte è quello che ti lascia sfinito e, finalmente, disponibile a chiedere aiuto e a riceverne. L’imperfezione ti sfida a rinunciare alle idee preconcette e a stare con quello che c’è così cos’è, a fare pace con i no, a spingerti oltre alle apparenze per esplorare quello che c’è dietro, o dentro. Ogni cosa incompleta ti ricorda che il tempo corre e prima o poi finisce, ogni cosa modesta ti chiede di riconsiderare il significato della ricchezza, ogni cosa umile ti riporta con i piedi per terra, ogni cosa non convenzionale ti insegna ad includere ed accogliere l’altro, il diverso, il lontano.
La ricerca della perfezione ti chiude in te stesso tanto quanto l’accettazione dell’imperfezione ti apre agli altri; la perfezione ti crea ansia, tanto quanto l’imperfezione ti mostra una possibilità di pace.
Quando una tazza di ceramica si rompe, in Giappone non si butta: il kintsugi insegna che si accoglie il danno, si ricompongono i cocci, si aggiusta con l’oro e si crea una nuova tazza, ancora più preziosa perché resa unica dalle sue cicatrici brillanti e dall valore aggiunto della cura spesa nella riparazione. Una metafora elegante che ci permette di trovare bellezza dove prima sembrava esserci solo danno, che ci libera dalla schiavitù della perfezione per accompagnarci verso la libertà di essere imperfetti, solo esseri umani in viaggio e in crescita, a volte al massimo delle nostre energie e capacità e altre volte stanchi, feriti, doloranti. In questo sta la bellezza, nell’accogliere noi stessi e gli altri in forza e in debolezza, in luce e in ombra, e di riconoscere che forse i punti dove siamo imperfetti, se ricomposti con amore, si rivelano quelli che ci rendono davvero unici e preziosi.