La sindrome dell’impostore: ovvero l’arte di sentirsi piccoli
Guardo spesso le splendide immagini dei documentari naturalistici, che si tratti di animali, viaggi, paesaggi marini, sottomarini, terrestri o aerei: come molti, mi lascio allargare il cuore dalla vastità degli spazi, dalla bellezza della natura e dal miracolo dell’esistenza in tutte le sue forme, dalle più immense come le catene montuose e gli oceani, fino alle più piccole come il plancton e i colibrì.
Ascolto l’elegante voce narrante e le interviste ai fotografi o agli scienziati che dedicano la vita (a volte rischiandola) ad esplorare gli angoli più remoti del pianeta, per studiare e per regalare a noi una piccola parte del loro stupore. E ho notato una costante nelle loro parole, un tema ricorrente che si ripete più o meno uguale in ogni episodio: il sollievo di sentirsi piccoli di fronte a qualcosa di molto più grande. La sensazione di rilassamento e pace che deriva dal realizzare di essere esseri minuscoli, impotenti e transitori davanti alle forze della Natura: immense, incontrollabili, maestose e potenti.
Curiosamente però, nella vita di ogni giorno e nella nostra società occidentale e tecnologica, lottiamo e siamo spinti a lottare per raggiungere dei valori diametralmente opposti: essere forti, padroni di noi stessi e delle nostre vite, avere tutto (e tutti) sotto controllo. Farsi grandi, più grandi possibile; raggiungere grandi cose, grandi traguardi, grandi risultati. Non mollare, non arrendersi mai, non cadere nella pericolosa sensazione di avere dei limiti: quasi fosse il peccato peggiore quello del perdente. Anziché portare le soddisfazioni e la pace sperate, abbiamo già sperimentato – sulla nostra pelle e sulla nostra salute psicofisica – che quest’ansia da grandezza è stressante sia a livello individuale che collettivo, e che alimenta la paura di non farcela, di fallire, di essere scoperti. Che si scopra che in realtà così grandi, perfetti e infallibili non siamo: la chiamano sindrome dell’impostore, la sindrome dell’uomo e della donna contemporanei di cui un po’ soffriamo tutti. Tutti stanchi di sopportare tanta tensione e sfiniti dalle aspettative, indipendentemente dall’averle soddisfatte o meno.
E così l’impostore viaggia fino ai luoghi più nascosti della Terra per mettersi di fronte a una montagna, respirarne l’immensità, e finalmente avere il permesso di sentirsi piccolo, e a ragione. L’impostore s’immerge nell’oceano infinito e si rilassa, finalmente, nella certezza di essere a contatto con una forza più grande della propria, contro la quale nemmeno prova a competere. L’impostore gode del sollievo di potersi arrendere di fronte a qualcosa di più grande, di realizzare la propria limitatezza e temporaneità, di smettere di illudersi di avere tutto sotto controllo.
Da dove viene questo sollievo? Di certo dal potersi permettere di mollare per un attimo la presa, di essere semplici, di bastare; essere sufficientemente buoni così come siamo, senza il tormento interiore di dover essere di più. Di certo dal vedere che quello che abbiamo davanti, quello che ci circonda, è buono così com’è, senza volerlo o doverlo spremere affinché diventi migliore e frutti di più. Di certo dalla realizzazione di non essere nati per lottare, per distinguersi o spiccare, ma di essere già parte di un tutto. Un tutto più grande, più potente, bellissimo, di fronte al quale avere l’opportunità di tornare piccoli e umili, di lasciarsi sorprendere, perfino di essere grati.
La gratitudine nasce solo quando capiamo di avere ricevuto molto e di essere parte di qualcosa di bello, buono, e grande – e per un attimo ci concediamo il lusso di farci da parte. Farsi da parte per realizzare di esserne parte. Come quando teniamo in braccio un neonato, o guardiamo il tramonto, un lago ghiacciato, un deserto dorato, una notte stellata, l’arcobaleno… piccoli nella consapevolezza di non aver fatto nulla per creare tanto splendore, e forse proprio per questo – consapevoli di aver ricevuto un dono- liberi di gioirne.
aprile 2023